“Buongiorno signora Maschera” è così che si salutavano anticamente le maschere di Carnevale veneziane quando si incrociavano per strada. Colorate, affascinanti e frutto di un lavoro artigiano e artistico che si è evoluto in centinaia di anni. In questa pagina vedremo quali sono le più famose e tipiche maschere del Carnevale di Venezia.
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L’origine delle maschere veneziane tradizionali
Hai già letto il nostro articolo sulla storia del Carnevale di Venezia? Qui ti avevamo raccontato che questa manifestazione nasce attorno all’anno mille come strumento per tenere sotto controllo la parte più affamata (ed arrabbiata) del popolo.
Una manifestazione che, per alcuni secoli, durava da ottobre fino al giorno che precede la Quaresima, e che consentiva anche al più povero di poter abbandonare ogni classe sociale, appartenenza o credo per diventare qualcosa di nuovo, di diverso: una maschera.
Alla fine del 1200 la città di Venezia dichiarò il Carnevale festività cittadina e da allora, fino alle conquiste napoleoniche della fine del 1700, sarà una costante per la popolazione. E’ proprio alla fine del medioevo che nasce anche il mascarero, ovvero l’artigiano ed artista che con maestria lavora la cartapesta, gesso e garza decorandola in maniera sempre più complessa e sfarzosa.
Quali sono le maschere tipiche veneziane?
La maschera veneziana tradizionale più famosa è senza dubbio la Bàuta, un travestimento tipico che ha oltre 500 anni di storia. Era così popolare perché era la più ammessa anche quando la Serenissima, per ragione di ordine pubblico, imponeva dei limiti ai travestimenti.
La Bàuta veneziana
Come puoi vedere nell’immagine della Bauta fotografata sul Canal Grande, si tratta di una maschera a forma rettangolare con il la parte relativa al labbro deformata. Ciò consente di deformare anche leggermente la voce, consentendo quindi di essere irriconoscibili. Anche per questo simboleggiava la totale libertà di espressione e per questo veniva salutata in modo molto ossequioso per strada.
A questa si accompagna il tricorno, l’antico cappello veneziano con tre punte e un lungo mantello che arriva almeno fino alla vita.
La Moreta
La Moreta, in italiano la moretta, è il simbolo della femminilità per eccellenza. E’ una semplice maschera nera completamente liscia e indossata soltanto dalle donne.
La particolarità di questa maschera è che la donna deve sostenerla tenendo tra le labbra un bottone. Molto apprezzata dagli uomini perché esalta il fascino e il mistero della femminilità della figura che la indossa.
Dovendo mantenere la maschera con le labbra, la donna non può parlare e anche questo contribuisce a darle un ulteriore fascino.
Il Mattacino
E’ oggi una delle maschere tipiche del Carnevale di Venezia che è più facile incontrare: è una specie di pagliaccio con un abito multicolore ed una volta erano famosi perché lanciavano delle uova piene di profumi usando le frombole – una specie di fionda.
Attorno alla loro figura si creò un vero e proprio mercato di compravendita delle uova profumate, lanciate su amici, parenti o giovani innamorate. Poiché spesso il bersaglio erano le donne, le autorità decisero di vietare il lancio delle uova profumate.
La figura del mattacino è diffusa in molte zone del Veneto e nelle zone di confine con l’Alto Adige, questa figura viene si trasforma e viene chiamata Matazìn e guida le danze per tutta la giornata del Carnevale del Comelico.
Il medico della peste
Questo travestimento ancora oggi è molto utilizzato e raffigura gli antichi “medici dea peste“, che indossavano una maschera con un lungo becco, occhiali e una tunica nera. Questo costume è molto diffuso anche perché una delle malattie che ha più a lungo devastato Venezia è stata proprio la peste. Immancabile con la maschera allungata anche il bastone, che storicamente serviva per valutare lo stato degli ammalati senza entrarvi in contatto diretto.
Bernardòn
Un mendicante vestito di pochi e luridi stracci che mettono in mostra le ferite e le piaghe causate da una giovinezza dissoluta e segnata poi dalla sifilide. Una macchietta popolare che rientrava tra i travestimenti detti “alla baròn”, cioè grezzi e alla buona.
La Gnaga o la donna gatto
Il termine “gnaga” in dialetto veneziano deriva dal miagolio del gatto ed era un travestimento molto comune ai giovani omosessuali che per tutto il resto dell’anno erano costretti a nascondere le loro preferenze sessuali. I giovani andavano per i calli o i ponti veneziani miagolando e portando con sé un cesto con un gattino.
Nasce così il modo di dire dialettale “ti ga na voce da gnaga“, tradotto “tu hai una voce da gnaga”, per indicare il tono stridulo della voce. La maschera da lontano sembra una normale massaia, ma da vicino si nota la sua natura di travestito. Simboleggia la corruzione e la depravazione della Venezia dell’ultimo secolo della Repubblica.
Le maschere del teatro veneziano
Grazie a Carlo Goldoni e alla ricchissima tradizione della commedia dell’arte si diffusero delle maschere che rappresentavano un po’ gli stereotipi della società veneziana. Il più famoso è senza dubbio Arlecchino, il servo imbroglione, ma trovano anche posto l’avaro mercante Pantalone e Colombina, la servetta e innamorata di Arlecchino. Immancabile anche Pulcinella, servo anche lui, ma legato alla tradizione napoletana.
Come si fanno le maschere di Carnevale di Venezia?
La tradizione vuole che ogni maschera sia realizzata con della semplice cartapesta che viene applicata su uno stampo o su un modello. Si tratta di strati di carta assorbente con acqua e colla che vengono lavorati rigorosamente a mano.
Trascorse almeno 24 ore, la cartapesta è pronta e viene estratta la maschera veneziana dallo stampo, si aprono le fessure per gli occhi e si stende uno strato di tempera acrilica bianca come fondo base per le decorazioni successive.
Lavorare ad una delle tipiche maschere veneziane è un processo quasi magico che porta a dar vita, da un semplice modello di cartapesta, ad una vera opera d’arte. Noi abbiamo partecipato, in un antico laboratorio artistico veneziano, alla realizzazione di una maschera ed è un’esperienza assolutamente consigliata.